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Fortune e sventure di una famiglia di emigranti italiani.

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Vien fatto proprio di pensare che il libro “Fortune e sventure di una famiglia di emigranti italiani. Dal Cilento (Italia) alla Pennsylvania (USA) ”, Bert Marinko - Ezio Martuscelli, sia, anche se inconsciamente, nato per fare un paragone tra la violenza fisica ed emotiva che ci viene dai “numeri dell’immigrazione” (Siamo passati dai circa 11.000 sbarchi l’anno della metà del 2019 a circa 45.000 persone sbarcate nel corso degli ultimi dodici mesi) e quelli che sono stati, sono (e probabilmente saranno) i numeri dell’emigrazione italiana. Occorre rimarcare che gli italiani sono sempre al primo posto tra le popolazioni migranti comunitarie (1.185.700 di cui 563.000 in Germania, 252.800 in Francia e 216.000 in Belgio). Secondo le stime del Ministero per gli Affari Esteri, gli italiani all'estero erano nel millenovecentottantasei 5.115.747, di cui il 43% nelle Americhe e il 42,9% in Europa. Se guardiamo poi all’entità delle collettività di origine italiana, questa assomma a decine di milioni, racchiudendo i discendenti degli immigrati nei vari paesi. Al primo posto vediamo l'Argentina con quindici milioni di persone, gli Stati Uniti con dodici milioni, il Brasile con otto milioni, il Canada con un milione e l'Australia con 540.000 persone. Un mare di gente che ha lasciato la sua (la nostra) patria e un mare di gente che ci giunge via mare. Bert Marinko ed Ezio Martuscelli non sono nuovi all’argomento. Il primo lavoro: “Racconti sull’Emigrazione. La storia di Nicola Imbriaco e Teresa Gabriele. Dalle campagne del Cilento alle miniere di Hazleton in Pennsylvania (USA) ” Printed by Amazon Italia logistica, Torino, è del maggio 2021. Veniamo agli autori. Bert Marinko, nato ad Hazleton, Pennsylvania, si è laureato presso la “Pennsylvania Atate University”, con un Bachelor su Scienze Degree in Eletrical Engineering. E’ un cultore di storia e genealogia. Da anni esegue ricerche sulle origini della sua famiglia i cui progenitori emigrarono dall’Italia. Ezio Martuscelli, è laureato in chimica. Direttore dell’Istituto di Ricerca e Tecnologia delle materie plastiche del Consiglio Nazionale delle ricerche. E’ stato docente presso le Università “Federico II e “Suor Orsola Benincasa” di Napoli. Dal 2010 è presidente dell’Associazione storico-culturale “Progetto Centola”. Dopo altre pubblicazioni, sia in campo scientifico, sia in quello della storia del territorio del Comune di Centola e del Cilento, da poco si è dedicato allo studio dei processi emigratori del Cilento. Il libro che stiamo trattando ben si ricollega a quelli che sono stati “i numeri” dell’emigrazione dalla Campania: 1876-1900; 520.791. 1901-1915; 955.188. Di cui ben 5.691.404, verso gli Stati Uniti. In questo lavoro, “i numeri” si tramutano in persone. “Di fatto in questa pubblicazione è raccontata la “Saga” di una grande famiglia di emigranti i cui membri dal Cilento emigrano in Pennsylvania dove con sacrifici lutti e duro lavoro si affermano e,attraverso le nuove generazioni, finalmente realizzano gli obiettivi che erano la motivazione della loro partenza dai paesi d’origine.” Appare chiaro dal lavoro svolto, rimarchevole anche per la mole e l’accuratezza di documenti allegato, quello che è stato più volte evidenziato della “nostra” emigrazione, non protetta né dall’Italia, che non seguiva le sorti degli italiani emigrati, né dai paesi dell’accoglienza. Partivano su navi che erano “carrette del mare”. In tanti guadagnavano sugli emigranti, così come in tanti, oggi, guadagnano sugli immigrati. Difatti, a parte il business sulla pelle dei migranti per quanto riguarda i viaggi della disperazione, sulla terraferma si guadagna sulle cosiddette “politiche per l’accoglienza,” laddove non sono santi quelli che si gettano nella smodata competizione per intascare denaro pubblico. I “nostri” emigranti “ (…) all’epoca dei fatti raccontati (…) erano sottoposti alla speculazione e alle prevaricazioni delle Compagnie di navigazione e dei loro rappresentanti che imponevano loro condizioni capestro.” Le navi erano riempite oltre il massimo consentito, i passeggeri in più si accalcavano sulla tolda, dormivano sui pavimenti, nell’immondizia. In caso di tempesta scendevano nelle stive, senza aria e senza luce. Ammassati. Poi, si doveva passare l’esame per ottenere il visto per gli Stati Uniti. Gente che non conosceva l’italiano, figuriamoci se parlava l’inglese. Non graditi dalle popolazioni locali, erano chiamati “dago” (popolo dello stiletto), oppure “Wop”, ossia “guappo”. E morivano spesso nelle miniere, come Michele Lappano Gabriele, che, all’età di trentuno anni, fu travolto e schiacciato da una grande massa di ardesia staccatasi dalla volta della galleria della miniera a causa di un’esplosione. Ci mise tre giorni a morire. La qualità di lavoro nelle miniere è ben specificata nel libro, dove si ricorda l’esplosione, a Monongah (Virginia occidentale. Stati Uniti), nelle Gallerie n.6 e n.8 della miniera della Fairmont Coal Company , del dicembre 1907, ossia il più grave disastro minerario della storia degli Stati Uniti d'America che causò 362 vittime tra i minatori. Tuttavia il libro è anche il racconto di una “grande speranza” e della vittoria, ottenuta negli anni e nelle generazioni, da una parte di questi Italiani, che poterono vantare, più avanti, di avere condotti figli allo studio, di averne fatti avvocati e medici, oppure di avere aperto negozi, officine e ristoranti. Gli autori seguono, carte alla mano, foto alla mano, le esperienze del gruppo familiare preso ad esempio, concludendo: “Gli autori auspicano che i giovani discendenti delle famiglie che in tempi lontani sono emigrati dall’Italia, e in particolare dal Cilento, nel leggere queste pagine possano avere la curiosità di visitare le contrade da cui vennero i loro progenitori al fine di recuperare e tramandare ai figli la memoria della loro identità e la specificità delle origini.”. Auguriamoci che avvenga. Bianca Fasano

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